Spettacoli: “AD ASTRA”, BRAD PITT ALLA RICERCA DEL PADRE IN SPAZI SIDERALI

Ed è subito Brad Pitt: Venezia 76 ha appena acceso i riflettori e già si gioca uno dei suoi assi, l’attesissimo “Ad Astra” diretto dal grande James Gray e prodotto e interpretato dal divo più rude e sensibile della scena hollywoodiana. Siamo nel segno di una fantascienza spirituale, in cui l’effetto speciale è al servizio del vecchio sogno dell’Uomo di spingersi tra le stelle e dell’eterno bisogno dell’umanità di trovare il proprio spazio nel grande progetto dell’universo. James Gray, del resto, conserva la matrice umanistica propria del suo cinema, fatto di personaggi umbratili, introflessi, sospesi su un passato che li consegna a un destino passivo. E’ ciò che si può dire del maggiore Roy McBride, l’astronauta interpretato da Brad Pitt in “Ad Astra”: il suo valore indiscutibile è il riflesso della fama raggiunta da suo padre, il comandante Clifford McBride, un eroe delle missioni spaziali dato per disperso quando Roy era ancora un bambino, al culmine di una importante missione spinta alla ricerca di altre forme di vita.

Ora che la Terra subisce le conseguenze disastrose di una serie di devastanti onde energetiche che provengono da Nettuno, proprio lì dove la base spaziale del comandante McBride ha fatto perdere le sue tracce, Roy viene mandato in missione per raggiungere il padre e cercare di comunicare con lui. Inizia così un lungo viaggio tra le stelle che si trasforma in un percorso alla scoperta di se stesso, dei limiti della sua umanità e dell’origine del suo modo di essere: il mistero legato al padre è infatti lo spunto che Gray utilizza per definire uno spazio psicologico in cui il suo eroe diventa  l’emblema di una solitudine radicale, il bisogno dell’Uomo di non sentirsi solo nell’universo. Brad Pitt si spinge in una recitazione sobria e solida, che trova nel duetto finale con Tommy Lee Jones, nel ruolo del padre, il giusto punto di contatto. Il film galleggia negli spazi siderali e negli interni delle basi spaziali con una tensione visiva altissima e docile, senza cercare particolari picchi di tensione ma mantenendo alta la forza drammatica della ricerca.

“Ad Astra” è la diretta conseguenza di “Civiltà perduta”, il film precedente di Gray, col quale condivide il senso dell’avventura alla ricerca di nuove forme di vita, lì in Amazzonia qui nello spazio. Ed è il nuovo capitolo della storia di una fantascienza umanistica che si basa sul bisogno di definire un punto di contatto tra il cammino dell’umanità nel futuro e la matrice arcaica del suo essere.