Il coronavirus e il futuro dell’Europa

In Usa sta avvenendo un fatto straordinario che può capitare solo in situazioni percepite così gravi, da compromettere la esistenza della Nazione. Repubblicani e democratici pienamente in accordo, varano un programma di investimenti che non ha pari nella storia statunitense: duemila miliardi di dollari da destinare a compensare lavoratori e imprese piccole, medie e grandi, costrette a rattrappire i piani di produzione con perdite immani di commesse e dunque di introiti in grado ti tenere in sicurezza i bilanci aziendali e quindi di tenere in vita gli organici di lavoratori. Anche l’Europa cerca di fare altrettanto, pur non essendo configurata ancora da Stato federale ed è costretta ad una velocità ed efficacia diverse, a causa di sovranità che ogni paese aderente si tiene stretto. Certamente in questi giorni anche nel vecchio continente fervono discussioni sull’ambizione di ottenere il minor danno possibile; ma lo scarto tra l’ottenere provvedimenti veloci e all’altezza della situazione è ancora presente. Tuttavia la reazione negli ultimi giorni è stata interessante: la Bce stanzia ben 750 miliardi di euro (circa 1000 miliardi di dollari americani); si derogherà al patto di stabilità; si sta discutendo tra polemiche (non all’altezza della situazione) se dare vita a grandi stanziamenti attraverso il fondo di stabilita europeo o attraverso Eurobond. Queste operazioni assommate tra loro, potrebbero costituire una massa finanziaria certamente non seconda a quella statunitense; ma bisogna fare presto. Per tale proposito si è fatto sentire Mario Draghi indicando la velocità come requisito essenziale per tenere testa ai problemi immani che dovremo affrontare. Ma insiste anche su come intervenire, e pone il tema che più che garantire il reddito di base a chi perderebbe il lavoro, sarà necessario proteggere le persone dalla perdita del lavoro, non depotenziando dunque la forza produttiva da tenere salda, in grado di ripristinare presto bilanci positivi aziendali, familiari, statali. Draghi ha voluto indicare una via che attraverso la produttività di sistema, che sappia parare efficacemente e rapidamente i rinculi provocati dal dramma pandemico in corso, soccorrendo le imprese alla condizione di non licenziare, con liquidità ad interessi a costi zero. Credo che Mario Draghi con il suo intervento pubblico, abbia voluto incalzare tutti gli Stati europei a decidere grandi cose, come grandi sono i problemi, ed a metterli in guardia su eventuali non scelte unitarie a carattere continentali, ricordando loro che in circostanze analoghe negli anni venti, le sciagure immani successive originarono proprio da egoismi nazionali. Dunque proprio per evitare l’irreparabile che occorre definire strumenti di stanziamento e prestiti adeguati rivolti alle intere popolazioni europee, con garanzie per ottenerli e con altrettante garanzie di restituirli senza se e senza ma, relative clausole di salvaguardia per lo strumento che presta. Per questa ragione non possiamo che pregare a che i paesi del nord Europa si convincano al varo di un piano eurobond di soccorso alle economie in Europa che usciranno esauste dalla pandemia. Non può che dispiacerci la incertezza ancora presente nella riunione manifestatasi ore fa dei tedeschi, ma qualcosa di nuovo sul piano politico sta nascendo. È motivo di speranza che ben 10 paesi membri UE – tra cui Francia Italia, Spagna e molti altri che finora hanno fatto blocco con Germania e paesi del Nord – hanno firmato un documento congiunto per varare un piano che così ben circostanziato ha indicato Draghi. La riunione recente dei presidenti dei paesi aderenti, per fortuna ha deciso di prendersi dieci giorni di tempo per una proposta magari mediata, e non si può che sperare che ciò avvenga. Ma da queste decisioni, a nessuno sfugge, dipenderà non solo la nostra sorte economica, ma anche quella della permanenza e sviluppo dell’Europa come entità politica con caratteristiche di vero Stato federale.
(ITALPRESS).

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