ADDIO A SEPULVEDA, IL MALEDETTO VIRUS NON RISPARMIA NESSUNO

Nell’attesa della liberazione dal Coronavirus, che arrivera’ ben oltre il 25 aprile, il dibattito fra intellettuali a piede libero si arricchisce di preziosi dettagli. C’e’ – ad esempio – chi spende 100 righe per rivelare perche’ fra i contagiati ci sono piu’ maschi che femmine – e gia’ c’e’ l’avevano detto – ma soprattutto perche’ ci sono pochissimi neri. Ho finito di leggere il pezzo sicuramente interessante ma in un altro giornale viene denunciata, come fosse eterna colpa degli schiavisti del Sud, il fatto che negli Stati Uniti muoiono piu’ neri che bianchi, quasi insinuando che la sanita’ sia gestita dal KluKluxKlan. C’e’ poi chi prova a smentire il mio modesto pensiero sull’esistenza della “livella” che non guarda in faccia a nessuno, inventandosi una Morte sociale che colpisce soprattutto i poveri: come se le centinaia di anziani defunti nelle case di (eterno) riposo non rappresentassero una realta’ se non sempre benestante comunque ben diversa dagli homeless (vietato parlare di barboni).
Il maledetto virus non guarda in faccia nessuno, tant’e’ vero che in mattinata arriva la notizia della morte per Coronavirus di Luis Sepulveda, il settantenne scrittore cileno che nell’ospedale spagnolo di Oviedo ha involontariamente dettato la sua ultima storia d’amore: ricoverato a febbraio con la moglie Carmen, sposata due volte, se n’e’ andato dopo averla vista guarire. Con lui la morte ha avuto un solo riguardo: gli ha permesso di scrivere un’ultima pagina improntata a dolcezza e passione, secondo il suo stile celebrato dai capolavori “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegno’ a volare” fino a “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”.
Era stato non un intellettuale comodista ma un severo contestatore di Pinochet fino a pagarne le conseguenze con carcere e tortura e dunque, fedele al suo detto “Le biografie degli uomini coerenti sono brevi” non aggiungero’ altri dettagli alla sua importante figura di autore, muovendomi solo verso la sua reclamizzata passione per il calcio che lo faceva citare spesso da giornalisti sportivi italiani evidentemente non appagati da Gianni Brera, Giovanni Arpino, Oreste del Buono, Pier Paolo Pasolini, Mario Soldati, Alberto Bevilacqua, Alfonso Gatto, Manlio Cancogni. E dico solo di autori che ho personalmente conosciuto. L’intreccio fra scrittori e giornalisti (senza la specifica “sportivi” che non ha piu’ senso da decenni) ha creato anche confusione creando nei primi la convinzione di essere tecnici, nei secondi di essere validi romanzieri. Un’illusione. La prova non la da’ Wikipedia, fabbrica di celebrita’, ma l’immortalita’. E dunque non diro’ che Sepulveda ha legato la sua opera a Ronaldo e Messi, definiti il Gatto e il Topo, ne’ alla genialita’ di Zdenek Zeman e Marcelo Biella. Preferisco ricordarlo poeta amoroso:
“Cosi’, ancora una volta
facilmente come nasce una rosa
o si morde la coda una stella cadente,
seppi che la mia opera era scritta
perche’ La Piu’ Bella Storia d’Amore
e’ possibile solonella serena e inquietante
calligrafia dei tuoi occhi”.

L’articolo ADDIO A SEPULVEDA, IL MALEDETTO VIRUS NON RISPARMIA NESSUNO proviene da Italpress.