“‘O SOLE MIO” CANTATO DA PAVAROTTI PER TENERCI SU

L’Italia del virus, ridondante di parole, di critiche, invenzioni, precisazioni, suggerimenti e prescrizioni gratuite, e di opinionisti ed esperti, task force e deboli, tutti affannati ad agitarsi su cento tivu’, non lasceranno il segno come l’ascesa solitaria del Presidente Mattarella all’altare della Patria per il saluto al Milite Ignoto e la struggente benedizione di Papa Francesco il 28 marzo sul sagrato deserto di San Pietro. La storia di questa tragica peste non si affidera’ tanto a emuli del Manzoni, destinati a ripetere quel ch’egli gia’ scrisse, con impressionanti somiglianze, quanto alle immagini degli eroi degli ospedali, della Croce Rossa e della Protezione Civile – quella dell’infermiera sopraffatta dalla fatica e dal dolore, i medici truccati come marziani eppoi la lugubre fila di camion carichi di bare avviate a una ignota sepoltura – si avvarra’ piuttosto di testimonianze autenticate come la bandiera Usa piantata sull’Isola di Iwo Jima nel febbraio del ’45 o la foto della piccola vietnamita Kim Phu’c che a nove anni, ferita dalle bombe al napalm, fugge nuda in cerca di un rifugio durante la guerra in Vietnam nel ’72.
Confesso una certa vigliaccheria che mi assale dopo l’ennesimo tg carico di bollettini che elencano contagiai e morti: non e’ facile trovare qualcosa di consolante che ti restituisca per un po’ alla vita quotidiana di un tempo senza dover ricorrere per forza all’Ispettore Barnaby o alla Signora in Giallo. C’e’ riuscita la Rai, l’altra sera, con il film documentario dedicato da Ron Hovard a Luciano Pavarotti. Definirlo bello e capace di restituirci Lucianone in tutta la sua grandezza artistica e umana e’ dir poco: Lui e la sua musica hanno offerto emozioni tali da indurre al pianto; e cosi’ i suoi sorrisi solari, i momenti di tenerezza o di plateale narcisismo tipico del tenore. E tre ne ho visti, di tenori, Pavarotti con Carrera e Domingo, al concerto di Caracalla per i Mondiali del 90; e mi e’ tornata in mente – invero bazzecola – la volta che per raccontarne la poetica bravura sulle pagine del “Roma” di Napoli, ribattezzai Hamsik, Lavezzi e Cavani “I Tre Tenori.
Il documentario, realizzato da un americano, ha ignorato un aspetto singolare del personaggio Pavarotti: era un appassionato di calcio, tifosissimo della Juventus e di Platini, Baggio, Del Piero. Senza considerarne il tifo calcistico, in una pausa “umana” mi regalai una serata alla Scala per “Turandot” con Pavarotti e la grande Kabaivanska. Fui travolto dalla musica e da quel “Vincero’” pucciniano che divenne poi il mantra di Spagna 82. Ron Howard, non inserendo certe immagini di sport, di calcio in particolare, e’ stato accolto con moderato entusiasmo pur raccogliendo 4 milioni e passa di spettatori sull’Uno. Va sempre meglio il commissario Montalbano. Io me lo sono goduto anche fuori dal palcoscenico, dietro alla cosa piu’ importante fra le meno importanti. E lo racconto ancora con emozione. Trillo di telefono, “C’e’ Cucci?”. “Sono io. Chi parla?”, “Sono Pavarotti, Luciano Pavarotti” stile James Bond. “Chiamo da Londra. Mi dice qualcosa della mia Juve?”. Ripresi fiato e dissi qualche sciocchezza sulla Signora, sull’Avvocato che aveva speso una fortuna per il Vialli che poi Luciano avrebbe amato. Vennero altre telefonate e un giorno un invito a fargli visita nella villa sul mare Adriatico in provincia di Pesaro. Mi resi conto, non troppo stupito, di quanto fosse importante per lui quel gioco che gli snob dicono sciocco cosi’ come milioni di persone normali fanno sacrifici per goderselo. Fossi in una task force suggerirei di usare la sua voce per tenerci su. Non dico il “Vincero’” di Turandot fatalmente sfigato ma un semplice, vibrante “‘o Sole mio”.

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