IN ITALIA IL CALCIO E’ VERA CULTURA POPOLARE

Calciofili, basta litigare – mi ha detto qualcuno – fate come i francesi che l’hanno chiusa li’ la diatriba giocare/non giocare, hanno consegnato lo scudetto al Paris Germain e buonanotte. (Calciofili, come un’offesa, somiglia tanto ai trinariciuti di Guareschi). L’estate del 1967, seguendo il Tour durante il quale mori’ Tommy Simpson sul Mont Ventoux, ebbi l’occasione giusta per sapere cosa i francesi pensavano del calcio: nulla, raffinato agnosticismo, o il peggio possibile, ai limiti del razzismo. Mi stupii perche’ gia’ sapevo che erano stati loro, proprio loro, a inventare il mio amatissimo calcio internazionale al quale avevo da tempo attribuito anche un titolo in piu’, magari fantasioso, ovvero quello di avere realizzato l’esperanto, la lingua che avrebbe dovuto sostituire la babele di idiomi in uso nel mondo. Ovunque andassi per raccontare campionati del mondo o Coppe potevo confrontarmi con chi parlando o scrivendo di calcio usava un dizionario piu’ ricco di quello di Brera. I francesi, pur avendo inventato la Coppa Jules Rimet per Nazioni, il campionato d’Europa Henry Delaunay e la Coppa dei Campioni dell’E’quipe di Gabriel Hanot, non riuscivano mai a esserne protagonisti, preferendo largamente il rugby e il tennis. In Italia, un certo mondo intellettuale snobbava i giornalisti sportivi calciofili – quorum ego – suggerendogli di leggere e imitare l’E’quipe che ignorava praticamente il volgarissimo calcio facendosi portavoce degli sport olimpici graditi al parigino Pierre de Coubertin.
Venne il giorno dei primi successi calcistici dei nostri affabili cugini e subito qualcuno tento’ il lancio di un quotidiano sportivo dedicato in particolare al pallone rotondo: falli’ in un amen. Il tifo? Sostanzialmente beato. I club? Il piu’ popolare, oggi, e’ il Paris St. Germain, fondato nel 1970 dalla federazione perche’ Parigi non aveva una squadra di vertice, diventato famoso con la presidenza dello stilista Daniel Hechter e di Jean-Paul Belmondo soprattutto per l’elegantissima divisa. Squadra vincente assai, il P.S.G. perche’ posseduto dall’emiro del Qatar Nasser Al-Khelaifi che ha portato a Parigi i piu’ grandi pedatori del mondo mentre in Italia ha preferito comprare la Costa Smeralda e l’Hotel Gallia, antica cattedrale del pallone, non avendo costi’ abbastanza seguaci qatarioti. Zhang ha tanti cinesi da accontentare. Per finire, ricordo che nel 1998 Le Figaro accolse l’inaugurazione del Mondiale francese mutuando una sentenza di Raymond Aron, il conservatore compagno di scuola del comunista Sartre, intitolando l’editoriale:”Il calcio, oppio dei popoli”.
Questa parabola vi ho servito soprattutto per far presente che mentre il calcio francese e’ un giuoco elevato a cultura solo da premi Nobel come Sartre e Camus, da noi e’ anche vera cultura popolare. Se avesse avuto un consulente professionale, il ministro Spadafora non avrebbe mai proposto in Italia la soluzione francese: da noi il riconoscimento concesso al P.S.G. fermando i giochi si chiama “scudetto di cartone” (cosi’ battezzai quello concesso all’Inter nel 2006 di Calciopoli) e non risulta che vi siano squadre disposte ad accettarlo. La Juventus prima in classifica come il P.S.G. ha gia’ detto no e sarebbe un’atroce beffa se venisse assegnato proprio a cent’anni dall’apparizione sulle maglie dei vincitori di quello scudetto tricolore inventato da Gabriele D’Annunzio. Se non bastasse, la storia parla piuttosto di campionati conclusi senza assegnazione del titolo e solo di recente Lazio, Genoa e Torino – spero inascoltati – han preso a piatire presunti scudetti negati per varie ragioni. Vorrei tanto che l’attuale malgestita querelle – giocare o non giocare – qualunque sia il verdetto finale non aggiunga ridicolo al dramma che diventerebbe una pochade.

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