110 ANNI AZZURRI E L’ETERNITA’ DI VITTORIO POZZO

Quando nel 1982 vincemmo il Mundial con l’Italia di Enzo Bearzot, di Paolo Rossi il Pichichi del gol, con l’urlo di Tardelli, la Coppa al cielo fra le mani di Zoff, non tardai a capire che aveva vinto l’Italia repubblicana. Le grandi feste che seguirono culminarono in un evento televisivo straordinario curato da Gianni Minà e quando gli dissi che avrebbe fatto bene a dedicare un piccolo spazio – nella celebrazione del nostro comune amico Enzo “il Vecio” – a Vittorio Pozzo che di mondiali ne aveva vinti due consecutivi, nel ’34 e nel ’38, neanche mi rispose. Forse per non dirmi che in fondo quei due titoli “erano del Duce”, come voleva una certa letteratura faziosa che trattava Pozzo da fascista, nonostante la spontanea difesa che di lui avevano fatto più volte uomini di sinistra, compreso il non sospetto Giorgio Bocca: “Il commissario unico (Pozzo; n.d.R.) era un ufficiale degli alpini e un fascista di regime. Vale a dire uno che apprezzava i treni in orario ma non sopportava gli squadrismi, che rendeva omaggio al monumento degli alpini ma non ai sacrari fascisti”.
Quella Nazionale era ancora giovane, aveva…solo 72 anni e andava fiera non solo del suo passato ma del record dell’antico Commissario che Bearzot avrebbe tentato di bissare nell’86 in Messico: Pozzo era l’unico ad aver vinto due mondiali consecutivi con la stessa squadra. Come finì si sa. Messico e nuvole…
L’ultima volta che ho atteso – facendo corna – l’evento è stato in occasione di Russia 2018. L’ultimo concorrente, Joachim Lòw, ha tentato di bissare il successo di Brasile 2014 e invece la sua Germania è tornata a casa al primo giro. Com’era già successo a Sepp Herberger, vincitore del Mondiale svizzero nel ’54, sconfitto in Svezia nel ’58; a Alf Ramsey, campione a Londra nel ’66, bocciato a Mexico ’70; a Enzo Bearzot, trionfatore a Spagna ’82, mesta comparsa a Mexico ’86; a Marcello Lippi, leader di Germania 2006, signor Nessuno in Sudafrica 2010, e così a Vicente Del Bosque, conquistatore del Mondiale sudafricano e subito sconfitto a Brasile 2014. Hanno provato tutti a fare il Doblete planetario, sono stati respinti da una sorta di maledizione che maledizione non è: è solo un record che resiste da ottantadue anni e porta appunto il nome di Vittorio Pozzo.
L’ho conosciuto, il Comandante, grazie al suo giornale, “la Stampa”, e all’indifferenza di alcuni colleghi. Pozzo veniva a Bologna due/tre volte l’anno, a raccontare la Juve e talvolta il Toro. Dal suo giornale partiva una segnalazione speciale per il corrispondente da Bologna, Ermanno Mioli: “Il commendatore arriverà in treno al pomeriggio del sabato, dev’essere atteso alla stazione di Bologna, condotto al grand Hotel Baglioni, a cena da Rodrigo, riaccompagnato in hotel e la domenica allo stadio….”. Mioli lavorava con me a “Stadio”, scriveva di ciclismo, chiedeva aiuto ai colleghi, riceveva molti rifiuti perchè Pozzo risultava a dir poco scomodo anche per l’età – quasi ottantenne – e gli acciacchi. E il caratteraccio. Mi candidai ed ebbi la fortuna di passare con il Comandante ore bellissime, importanti, nella hall del Baglioni per un the piuttosto che a cena, quando non si negava alla mia curiosità. Ricordo che una sera, molto tardi, entrò da Rodrigo Giorgio Albertazzi con un suo bel cane, un pastore tedesco: Pozzo si complimentò con l’animale, l’accarezzò, io gli dissi che Albertazzi aveva giocato nella Fiorentina e mentre il divo gli porgeva rispettoso la mano sentii la voce quasi affettuosa del Comandante: “E adesso cosa fa nella vita?”. Giorgio capì, arretrò silenzioso ma commosso.
Di Pozzo si ricorda a fatica un’altra impresa azzurra, mai ripetuta: il successo ai Giochi Olimpici di Berlino dove l’Italietta di Annibale Frossi – il bomber con gli occhiali poi ideologo del catenaccio – conquistò l’oro. Sbalordendo e forse irritando Hitler, come aveva fatto Jesse Owens che Pozzo ricordava come ispiratore dell’impresa azzurra:”Alla vigilia della finale con l’Austria, quattro giorni di attesa, i ragazzi, quasi tutti studenti poco esperti, erano nervosi, e ci ritrovammo nel nostro ritiro proprio Jesse, vicino…di casa, che suonava la chitarra, cantava e ballava trasmettendoci allegria”. Fu vittoria, 2 a 1, con doppietta di Frossi. Diverso il racconto del ’38, di quel Mondiale che gli stessi invidiosi francesi celebrarono, infilando nel loro dizionario una parola nuova italiana, “les Azzurri”. “Eravamo vicini a casa e negli stadi dove giocavamo, a Marsiglia, a Colombes, gli antifascisti fuoriusciti venivano a contestarci, creando preoccupazione ma anche dandoci una spinta, i ragazzi moltiplicavano le forze, alla fine tacquero tutti…”. Anche i francesi che avevano fischiato l’Italia di Colombes, in maglia nera. Pozzo aveva nel cuore – lui uomo duro, soldato severo, caposquadra rigoroso, critico impietoso – il ricordo di quel 19 giugno 1938 allo Stade Yves-du Manoir quando, sconfitta l’Ungheria per 4-2 (doppiette di Colaussi e Piola) Peppin Meazza levò al cielo la seconda Coppa Rimet.