LA CONCRETEZZA DI GABRIELE GRAVINA

Si chiama Gabriele Gravina. I cialtroni – che fortunatamente ha conosciuto e bollato – amavano dire “chi era costui ?”. E lui, silenzioso presidente-carneade di una Federcalcio che ha conosciuto la potenza di Franco Carraro e le pazziate benefiche di Tonino Matarrese, ha schienato tutti i cortigiani serpentini e le iene rivali con una battuta, che farà storia, regalata al popolo nei giorni del Coronavirus scatenato contro il gioco più amato dagli italiani:”Non sarò io il becchino del calcio”. Pugliese di Castellaneta, la città di Rodolfo Valentino, è cresciuto imprenditore molto solido in Abruzzo: poco dannunziano, meglio ispirato da Flaiano che ha sempre avuto una battuta per tutti. Anche quelle altrui, nobilitate dal suo nome. Ieri, portata a termine l’impresa in cui pochissimi credevano – la ripartenza del campionato – ha riassunto il suo impegno con crudezza e…crudeltà. Sentite: “La preoccupazione è stata molto forte, abbiamo vissuto momenti di grande difficoltà in un mondo in cui siamo costretti molto spesso a convivere col mecenatismo e col cialtronismo. Questo mi ha portato, più di una volta, insieme ai miei amici delle componenti e delle leghe a fare uno sforzo per oltrepassare i filosofi dell’ovvio, i fautori del piano B, gli anfitrioni dell’emergenza, i sostenitori del ‘tutto non si può farè. Abbiamo vissuto momenti di grande difficoltà, ma vi garantisco che abbiamo sempre avuto la consapevolezza che il calcio doveva ripartire perchè rappresenta per tutti i tifosi un momento di grande condivisione e passione”.
Modestamente, ha parlato neanche per me. Che alla candidatura, poco gradita dai suddetti cialtroni, alla presidenza federale ne avevo tratteggiato il profilo convincente.
“Gabriele Gravina – scrivevo – potrebbe essere l’uomo giusto. Il mio giudizio – per quel poco che conta – è influenzato dall’aver avuto un amico importante che nella sua purtroppo breve esistenza ha solo costruito e ha dotato il calcio di una sponda culturale prima inesistente: parlo di Luciano Russi, scomparso nel 2009, già magnifico rettore dell’Università di Teramo, editore di “Lancillotto e Nausica”, rivista di storia e critica dello sport. In tempi diversi, ma poi insieme, Gravina e io lavorammo con Russi al nascente corso di laurea in ” Discipline giuridiche e economiche dello Sport”, facoltà di “Scienze Politiche” con sede in Atri. Russi e Gravina avevano avuto anche un’esperienza…di campo alla guida del famoso Castel di Sangro che fra l’84 e il ’96 conquistò cinque promozioni fino alla Serie B, esperienza che fu raccontata e romanzata anche da uno scrittore americano, Joe McGinnis”.
Il fronte avverso lo trattava da abusivo – s’accontentasse di comandare in Serie C, dicevano – e mi divertì un commento apparso sui social che lo criticavano:”E’ strano – scriveva un tifoso – che un signore (McGinnis) che scrive un libro sul miracolo calcistico del Castel di Sangro finisca per dimenticare l’artefice del successo. Te lo dico io. Si tratta di Gabriele Gravina, attuale Presidente della FIGC. Con il suo motto – ‘Chi vola vale, chi vale vola, chi non vale non volà – abbiamo fatto il miracolo. Lui era il Presidente del Castel di Sangro”.
Informatori “sicuri” mi dicono che appena finiti i giochi lo faranno fuori. I becchini, abbiamo imparato, nel bel mondo del calcio non mancano.