Pippo Franco compie 80 anni, dal cult “Che fico” al Bagaglino

C’è il Pippo Franco musicista, quello delle canzoni leggere e orecchiabili, costruite a misura per i più piccoli ma finite per essere canticchiate anche di chi bambino non lo è da tempo; c’è il Pippo Franco attore, dapprima quello dei film scollacciati e un po’ pecorecci poi dei cult della commedia italiana; ma c’è anche il Pippo Franco uomo di teatro e di tv, volto simbolo del Bagaglino. Pippo Franco (nato a Roma) è un artista duttile, eclettico, capace di reinventarsi centinaia di volte. Ancora adesso alla vigilia dei suoi 80 anni (che compirà il 2 settembre), non smette di padroneggiare i palcoscenici della Penisola . Ottant’anni all’anagrafe e una carriera lunghissima di cui andare fiero. L’arte la incontra sotto la forma della pittura e del disegno ai tempi del liceo, quando frequenta la scuola romana di via Ripetta e si ritrova tra i professori personaggi del calibro di Renato Guttuso e Giulio Turcato. Ma è la musica che lo folgora. Ottimo chitarrista comincia alla fine degli anni ’50 ad esibirsi nei complessi che andavano in voga in quel tempo. E’ un musicista atipico, compositore che non smette mai di usare la sua più grande dote: l’ironia. Comincia a scrivere pezzi dai titoli inequivocabili e spesso surreali come “Quel vagone per Frosinone” o “Cesso di amarti questa sera”.
La musica diventa in qualche modo il trampolino di lancio per la sua futura carriera di attore. La prima volta che mette piede in un set è nel 1960, nel film di Mario Mattoli “Appuntamento a Ischia”. Il suo ruolo (molto marginale) è quello del chitarrista nell’orchestrina che accompagna Mina. Ma le parti da protagonista nel cinema possono attendere; per un intero decennio continua la sua carriera di suonatore sopra le righe, sempre beffardo e spassoso. Nel 1969 partecipa al Cantagiro presentando, in coppia con Gabriella Ferri, la canzone “Licantropia”. Poi giunge la svolta dei brani per un pubblico infantile; pezzi nati per un target ben circoscritto ma diventati ben presto hit di successo negli anni ’80, finiti per entrare di diritto nell’immaginario collettivo grazie a ritornelli accattivanti e facili da canticchiare. Ecco quindi “Mi scappa la pipì papà”, “La puntura”, “Chì Chì Chì Cò Cò Cò”, fino alla celebre (per gli appassionati del genere) “Che fico”, scelta come sigla del Festival di Sanremo del 1982, e che proprio due anni fa ha avuto una sua nuova primavera attraverso una rivisitazione, in chiave indie, con un testo che lo stesso Pippo Franco ha rimaneggiato ritoccandolo e attualizzandolo ai tempi dei social. Accanto alla sua attività di musicista, l’artista intraprende una carriera cinematografica che lo renderà volto arcinoto della commedia italiana. In principio viene diretto dai maestri del cinema come Luigi Magni (“Nell’anno del signore”), Dino Risi (“Il giovane normale”), Luciano Salce (“Basta guardarla”). Ma è con la commedia sexy che conquista ruoli da protagonista. Dapprima con il filone boccaccesco. Finisce negli annali l’interpretazione di Olimpio de’ Pannocchieschi, accanto ad una giunonica Edwige Fenech, in “Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta bona tutta calda”. Poi è la volta di un altro cult del genere come “Giovannona coscialunga disonorata nell’onore”. Ma l’attore può vantare anche di essere stato diretto da Billy Wilder nella pellicola “Che cosa è successo tra mio padre e tua madre?”. Intanto l’incontro con il regista Pierfrancesco Pingitore dà vita ad un fortunato sodalizio, principiato con la settima arte e sublimato con la tv. Ecco quindi titoli come “Remo e Romolo – Storia di due figli di una lupa”, “Nerone”, “L’imbranato”, “Ciao marziano”, lungometraggio ispirato a “Un marziano a Roma” di Flaiano.
Assieme a Pingitore sarà l’artefice della compagnia di varietà del Bagaglino (in seguito trasferita al Salone Margherita) e che per più di un decennio incollerà, con le varie declinazioni televisive ospitate da Mamma Rai prima e dalle reti berlusconiane dopo, milioni di spettatori davanti lo schermo. Una satira a volte pungente ma mai realmente caustica e sprezzante. Accomodante, conciliante nei toni, da post- avanspettacolo, dichiaratamente di destra, snobbata dalla critica e spregiata da un certo mondo intellettuale, ma che ha avuto il pregio di avere impiegato caratteristi degni di considerazione, e dove Pippo Franco ha assolto degnamente al ruolo di capocomico. Un uomo, prima che un artista, che non ha fatto mistero delle sue idee politiche. Un dc di centrodestra, già candidatosi al Senato nel 2006 e nel 2013 aspirante sindaco di Roma alle primarie di Fratelli d’Italia. Cattolico praticante, recentemente si è accostato con grande fervore alla fede; oggi collabora con Marija Pavlovic, una delle veggenti di Medjugorje. Negli ultimi anni si è dedicato al teatro e ha ridato dignità al cabaret girando lo Stivale forte di quell’arma che ne ha contraddistinto la carriera; l’umorismo. Lui, che un adone non è mai stato, ha anche basato parte del suo successo sulla sua fisicità, ironizzando sui suoi inconfondibili tratti somatici. “Una volta – osservò sarcastico Pippo Franco – si diceva: l’uomo è sempre bello. Poi sono nato io”.
(ITALPRESS)