Infrastrutture, la risposta alla crisi italiana appesa a un concordato

Negli ultimi dieci anni la crisi italiana del settore delle costruzioni ha lasciato sul campo 120mila imprese e 600mila posti di lavoro. Un’emorragia legata soprattutto al crollo degli investimenti, dimezzati nell’ultimo decennio e responsabili di un deficit infrastrutturale pari a 84 miliardi di euro.

Il Sistema-Italia è da anni a crescita vicina allo zero. Ogni nuovo governo promette il rilancio delle performance economiche del Paese basato principalmente su tagli e ottimizzazione che l’esperienza ci dice essere difficili da realizzare nel breve periodo. A tale contesto si accompagna un sistema di infrastrutture sempre più vecchio e obsoleto. Esiste un bacino consistente di fondi già stanziati che potrebbero dare un nuovo impulso alla vita economica italiana, innescando un circolo virtuoso. I fondi per le grandi opere pubbliche già approvate ammontano a oltre 55 miliardi di euro, di cui circa 47,8 miliardi di euro già stanziali e bloccati per complessità amministrative e lungaggini burocratiche. Si tratta di un fenomeno che attraversa tutto il Paese, da Nord a Sud.

La risposta a questa crisi e l’occasione di rilancio per il settore può essere la più grande operazione di sistema nella storia italiana delle costruzioni: Progetto Italia, l’iniziativa lanciata da Salini Impregilo insieme alla Cassa Depositi e Prestiti e un pool di banche italiane (Intesa Sanpaolo, Unicredit e Bpm) per salvare alcune aziende storiche dando vita a un grande gruppo, forte sul mercato interno e capace di competere all’estero con i colossi internazionali delle infrastrutture. Il Gruppo che nascerà al termine di questa integrazione industriale tra We Build e Astaldi avrà un backlog cumulato di 40 miliardi di euro e un fatturato di 9 miliardi. L’operazione, da un lato tutela migliaia di lavoratori, dall’altro ha un effetto traino sull’intero indotto del settore, costituito soprattutto da piccole e medie imprese.

Nell’ultimo anno Salini Impregilo ha coinvolto 1.500 aziende italiane nei suoi cantieri in giro per il mondo con lavori per un totale di un miliardo di euro. Solo in Italia negli ultimi tre anni, grazie al ricorso ai fornitori italiani, sono stati attivati contratti per oltre 4 miliardi di euro da Salini Impregilo e Astaldi, generando ogni anno 20 mila posti di lavoro. All’estero, i contratti firmati da Salini Impregilo e Astaldi negli ultimi tre anni hanno generato dagli 8mila ai 10mila posti di lavoro/anno. Webuild e’ il nome del nuovo Gruppo che nasce per consolidare il settore italiano delle grandi opere e dar vita così a un colosso in grado di sostenere la ripresa del settore e aumentare la competitività delle aziende italiane sui mercati internazionali.

L’ingresso di Astaldi all’interno del gruppo Webuild è un passaggio fondamentale per la nascita del colosso italiano delle costruzioni. Dopo l’assemblea dei bondholders da 750 milioni, prevista per il 10 marzo, da cui si attende presumibilmente un voto negativo della maggioranza degli obbligazionisti per la proposta di concordato, la parola spetta all’adunanza generale dei creditori prevista per il 26 marzo. Con l’80% dei voti favorevoli all’assemblea degli obbligazionisti Astaldi possessori del bond da 140 milioni, il 25 febbraio, che rappresentavano circa il 4% dell’esposizione complessiva di Astaldi, è stata di fatto superata la soglia del 60% dei creditori pronti a dire si al piano di continuità nell’ambito della adunanza generale dei creditori del 26 marzo, considerando anche le banche, che detengono poco più del 56% del debito di 3,5 miliardi di Astaldi.

In caso di mancata approvazione della proposta di concordato Astaldi da parte dei creditori, l’alternativa per Astaldi sarebbe l’apertura di una procedura di Amministrazione Straordinaria. Gli effetti risulterebbero dirompenti anche rispetto alla capacità di soddisfazione dei creditori: verrebbero a mancare i presupposti per il valore economico aziendale nonché per la valorizzazione gli asset da vendere. L’Amministrazione Straordinaria comporterebbe un marcato rallentamento dell’operatività aziendale con forte rischio di non essere più in grado di fare fronte alle esigenze di cassa di breve termine i cui effetti negativi sarebbero la possibilità di perdita di commesse in portafoglio per oltre 5 miliardi di euro: è prevedibile la cancellazione immediata dei contratti esteri, specie nei Paesi che non riconoscono la normativa concorsuale italiana; in Italia è prevedibile l’estromissione di Astaldi dai contratti, con immediate conseguenze sui livelli occupazionali in Italia.

Tra gli effetti negativi ci sarebbe anche l’aumento del debito concordatario per più di 4 miliardi di euro, prevalentemente per effetto delle escussioni sui contratti cancellati o risolti e minori proventi dalla vendita degli asset in concessione. La Società non avrebbe l’opportunità di completare tramite risorse finanziarie proprie alcune delle opere destinate ad essere cedute. È facile intuire quali potrebbero essere le ripercussioni negative della mancata approvazione del concordato non solo sui creditori di Astaldi ma più in generale sul settore delle costruzioni del Paese con progetti in corso che potrebbero essere fortemente rallentati se non bloccati e la filiera delle piccole e medie imprese che soffrirebbero ulteriormente con inevitabili effetti negativi sull’occupazione.

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