DA NOI PIETA’ L’E’ VIVA

Cerco, se possibile, di raccogliere nel mio diario fatti e volti che non siano sempre e soltanto luttuosi, anche se l’ha ispirato, e lo mantiene, giorno dopo giorno, bollettino dopo bollettino, l’evento piu’ doloroso della mia vita. Un diario si tiene per il futuro, per ricordare, e mi piacerebbe un giorno – mi allungo la vita finche’ posso – ritrovare anche qualche nota lieta. Non e’ facile, anche se dalle storie di morte si puo’ sempre ricavare un flash di vita. Ho seguito su Raitre il racconto della vita di un mio maestro involontario, Giovannino Guareschi. Allevato a letture insolite come”Candido” e ” Il Borghese”, inavvicinabile il romagnolo Leo Longanesi, Maestro dei Maestri, riuscii a… sfiorare Guareschi quando nel 1961, ventiduenne, Nino Nutrizio direttore della “Notte”, dopo avermi dato la corrispondenza da Bologna, mi presento’ a “Candido”. Arrivai in una Milano che avevo visitato una sola volta, quando alle medie si faceva la gita scolastica alla Fiera. La scelta veniva effettuata perche’ – ci diceva il preside – Milano era l’Europa piu’ vicina. E non sbagliava. Come si e’ spesso detto “a Milano c’era tutto”, compreso quello spazio operativo che cercava un aspirante giornalista. Andai allora in via Rizzoli, alla sede di “Candido”, ma non ebbi fortuna: Guareschi era tornato a Roncole, nella sua terra Verdiana, piu’ “Don Camillo” che “Candido”, le cui sorti erano state affidate a Alessandro Minardi, il quale cambio’ radicalmente il giornale. Niente per me. E quando arrivai finalmente nel cittadone lombardo da professionista, nel ’68, al “Guerin” di Piazza Duca d’Aosta, trovai un’altra Europa, quella dei sessantottini, ovviamente, e dei terroristi: fui praticamente accolto dalla tragedia di Piazza Fontana e non la ressi. Mentre il collega/amico giornalista Enzo Tortora mi spiegava che li’ nascevano le notizie, preferii tornare a casa. Come Guareschi.
Ritrovarlo in un documentario umanissimo mi ha fatto ricordare quanto fosse animato da profonda pietas nei confronti di chi ci aveva lasciato. Tante, e spesso, nelle pagine di “Candido”, le sfilate di croci, eredita’ dei campi di concentramento tedeschi e polacchi che aveva…visitato (me lo diceva un mio zio prete cappellano militare, ch’era stato con lui a Wietzendorf) e della guerra civile. Imparai il rispetto della morte nuda e cruda, non rivestita da protagonista di una tragedia greca.
Cosi’ sono rimasto colpito da una notizia del Coronavirus che annoto a futura memoria: “Sessantuno croci bianche con un nome, una data di nascita e una data di morte hanno trovato posto nel campo 87 del Cimitero Maggiore di Milano, dove il Comune ha deciso di seppellire i corpi dei pazienti di cui nessuno per ora ha reclamato la salma”. Avevo appena visto la fossa comune accanto al cimitero di Managua, sconvolgente, peggio ancora quella “industriale” realizzata a New York che mi aveva rammentato le fosse comuni incontrate in California, nella Golden Rush o dove si costruiva la ferrovia, scavate per seppellire migliaia di Coolies, schiavi cinesi: con un fugace pensiero al contrappasso dantesco. Da noi no. Da noi pieta’ l’e’ viva.

L’articolo DA NOI PIETA’ L’E’ VIVA proviene da Italpress.