L’Unione Europea tra maturità e “paradisi”

di Raffaele Bonanni

Dopo alcuni giorni dalla riunione UE che ha visti tutti i primi ministri presenti per varare il ‘recovery fund’ e dopo ancora la discussione dell’utile Mes per fortificare la sanità a fronte del Covid 19 e altre future emergenze, si può fare una analisi sui comportamenti e posizionamenti dei vari Stati aderenti. Una lieta novità riguarda senz’altro l’attivismo francese guidato da Macron rispetto al ruolo avuto per la coalizione ‘latina’ che ci ha permesso una dotazione di prestito e fondo perduto molto vantaggioso, oltre alla spinta del tutto inedita per i francesi (salvo Schuman) per andare oltre l’attuale assetto dell’Europa.

Questo ‘movimento’ non di poco conto, ha offerto una preziosa sponda alla Merkel per convincere i suoi connazionali a rompere gli ormeggi per una Europa che riprendesse le sue sembianze di potenza storica. In questi cambiamenti è stato più facile vedere la natura del nocciolo duro degli Stati membri che concepiscono la EU come area solo di libero scambio, priva di spinta solidale, priva di ambizioni a fare del vecchio continente un player di primo piano economico e politico mondiale. Tra questi, quasi tutti scandinavi, si sono distinti gli olandesi che si sono ritagliati il ruolo dei bastian contrari dell’Unione.

Per i sudditi degli Orange Nassau, l’Europa deve essere e deve rimanere solo un mercato libero continentale ma con una vita politica e istituzionale che sostanzialmente non deve porre neanche le premesse per regolazioni che conducano a una entità politica federale a tutto tondo; per costoro la UE deve essere solo un luogo di diritti, non di doveri.

Il suo premier Mark Rutte, lo vediamo ormai costantemente in agitazione contro gli Stati meridionali. Gli piace prendere le sembianze del leone con lingua di fuoco dello stemma olandese e spunto, con la sua offensiva anti solidale, dal motto imperativo che campeggia sotto lo stesso scudo: “je maintiendrai”, che significa io manterrò. Ma è accertato: la ragione dei suoi affondi è quella di mantenere lo status quo, perché questa evenienza obbligherebbe ad avere un solo ordine fiscale per tutta Europa, che farebbe cessare il dumping fiscale ai danni degli europei, con la perdita di enormi vantaggi economici per il paese dei tulipani.

D’altronde gli stessi Inglesi, affermano gli analisti, sotto sotto hanno dichiarato guerra all’Europa e sarebbero usciti proprio per salvaguardare il loro collaudato sistema di paradisi fiscali collocati nelle loro isolette sparse nel mondo, retaggio del vecchio impero. Questi luoghi sono riconosciuti dai masdanieri del mondo come i più efficienti paradisi fiscali del mondo per ‘pulire’ denari di dubbia provenienza e ottenere condizioni fiscali d’eccezione, per poi depositarli riciclati nelle attività finanziarie della ‘City’ a Londra.

Dai calcoli che si fanno sono introiti enormi da capogiro che si producono per la classe dirigente inglese: insomma ricchi e coloro che comandano (molti politici sono generosamente remunerati da questo sistema collaudatissimo per consulenze). Insomma il ceto alto è passato dai grandi guadagni del vecchio impero, al nuovo impero di governo dei paradisi fiscali. È facile comprendere del perché buona parte di quelli che contano in Inghilterra ha sostenuto la Brexit. Se il gioco è questo, per dirla terra terra, questi paesi è meglio perderli che guadagnarli alla causa Europea. Ai Corsari alla Francis Drake preferiamo i Tommaso Moro.

Ma l’Europa deve andare avanti, e soprattutto sulla omogeneizzazione fiscale per i suoi paesi aderenti. Quanto ai paradisi fiscali, si dovrà immediatamente procedere a impedire che le amministrazioni pubbliche stipulino qualsiasi contratto con le imprese che depositano capitali nei paradisi fiscali. Inoltre bisogna creare pubblici registri degli effettivi titolari di società, trust e fondazioni; istituire totale trasparenza su transazioni e accordi fiscali segreti tra società e governi. Questo è indispensabile per ricreare un minimo di trasparenza in un settore, quello finanziario, che più è infetto e più la democrazia si intossica.

(ITALPRESS).